Al direttore di “Europa”
Caro direttore,
bello, l’articolo di Castagnetti, di una decina di giorni fa, sul tema dei “privilegi” dei parlamentari italiani. Eppure, sento l’esigenza di “chiosarlo”, in qualche misura. Segnalando subito, pur detto con grande simpatia per l’amico Pierluigi, che ho registrato qualche elemento di ambiguità, nel suo “pezzo”. Come quando lascia intendere che, a riguardo delle “indennità”, quelle dei “nostri” risulterebbero, diversamente da quanto si pensa comunemente, “in linea”, o, addirittura, “al di sotto” della “media” dei parlamentari europei. Secondo uno studio “riservato” della Camera, peraltro. Che però tiene conto di altri “benefit” dei colleghi UE. E, dunque, introduce elementi di valutazione interpretabili in modi diversi. Ciò pone, in ogni caso, l’eterna domanda: ma qual è lo “stipendio” vero dei nostri deputati e senatori? Qualche perplessità mi lascia anche il suo accenno all’esperienza del suo collega che aveva rimproverato a un gruppo di iscritti del Pd, critici sull’argomento, di non avere posto a suo tempo quella “questione” a personaggi del calibro di Zaccagnini, Boldrini, Andreatta, i quali, afferma Castagnetti, non potevano essere sospettati, stante la loro qualità “professionale”, di godere di un “privilegio”. Mi verrebbe da dire in proposito, semplicemente, che sarebbe piuttosto interessante confrontare le indennità di allora con quelle di oggi, ma tant’è. Quello che mi lascia però alquanto perplesso è il suo interrogativo: “dobbiamo decurtare le indennità parlamentari per farle corrispondere al degrado e alla crescente irrilevanza della funzione (degli eletti) o dobbiamo, invece, combattere il degrado e l’irrilevanza della funzione?”. La mia personalissima risposta è semplice: bisogna ridurre le “prebende” dei nostri rappresentanti in Parlamento (ma non solo) e, insieme, rivitalizzarne il ruolo. E questa è una contraddizione soltanto apparente. Non so se le indennità italiane siano “scandalose”: segnalo soltanto, in argomento, la sorpresa di un mio caro amico neoeletto consigliere regionale, e ancora poco avvezzo al “clima”, al momento di ritirare la sua prima “paga” mensile: una cifra netta corrispondente, quasi, alla pensione annuale di una sua vecchia zia, che pure aveva lavorato parecchi anni, nella sua vita! Il “poveretto” ha osato, pur timidamente, fare accenno, ai suoi colleghi, ad un’ipotesi di “stipendi” più sobri, ma è stato subito tacitato. Se tali sono le indennità regionali, dunque, non è difficile congetturare su quelle “nazionali” (e sugli annessi e connessi, quali liquidazioni, e pensioni, e quant’altro). Che sono ovviamente perfettamente leggibili, da qualche parte, ma che sui “media” vengono sempre presentate, chissà perché, in modi differenti. Credo di non aver bisogno di dire che sto riportando sensazioni di chi, militando a sinistra, ha una concezione in qualche misura “etica” della funzione pubblica, che non appartiene, invece al sistema berlusconiano. Tutto ciò detto dei “soldi”, io sono del tutto consapevole, come Castagnetti, che il problema più importante, in realtà, è il rischio dell’”esaurimento della funzione della rappresentanza”, compressa, oltretutto, dal fatto che i parlamentari non sono più scelti dagli elettori, ma imposti dall’alto, e dunque, non hanno più un rapporto diretto con uno specifico territorio e i rispettivi elettori. Come anche del fatto che la funzione legislativa è stata ormai “confiscata” da parte dell’esecutivo. E condivido pure l’invito a schivare il pericolo di alimentare il qualunquismo imperante, dando “corda” eccessiva alle critiche sugli “eletti” (come anche sul “fannullismo” del pubblico impiego, come dice giustamente Pierluigi). Non ho dubbi, perciò, che sia sbagliato fare una battaglia contro gli “amministratori locali”, e contro il numero dei consiglieri e degli assessori comunali e le relative indennità, queste ultime, del resto, assolutamente incomparabili (dico io) con quelle dei livelli superiori. Qui, però, stiamo parlando di un altro livello, quello nazionale. Dal quale sarebbe giusto partire, per “razionalizzare” il sistema. E allora diventa spontaneo chiedersi, per esempio (immaginando che anche l’ex segretario dei “popolari” condivida, anche se non ne ha fatto cenno nel suo articolo),: bene ridare vigore al ruolo del Parlamento, ma ha senso “mantenere” tuttora (con quelle indennità) un migliaio di deputati e senatori, dopo avere costituito, quasi quaranta anni orsono, le assemblee delle Regioni, e avere attribuito a tali Enti, con la riforma costituzionale degli anni scorsi, moltissime competenze già dello Stato? Ha senso tenere in vita oggi, nella società del duemila, un “bicameralismo perfetto” e non creare invece una Camera delle “autonomie” che risolva in partenza i conflitti tra Stato centrale e istituzioni periferiche? In realtà, le domande sarebbero molte altre, sul tema della “rappresentanza politica”, ma anche dei “costi della politica”. Ma, nell’economia di una “lettera”, mi devo fermare qui. Con la consapevolezza, in ogni caso, che le mie considerazioni, di uno che ha passato una vita nelle “istituzioni locali”, difficilmente risulterebbero gradite a coloro che, stando a livelli istituzionali più alti, pensassero alla politica soprattutto come a una possibilità di “carriera” e di farsi uno “stipendio”. I quali mi accuserebbero, ça va sans dire, di demagogia, se non di qualunquismo. Ho però anche la convinzione che, se il Pd impugnasse seriamente questa “bandiera” (i temi che ho toccato con questa mia), avrebbe tutto da guadagnare. Naturalmente sono pessimista, se posso dirlo.
VINCENZO ORTOLINA