Archive for giugno 2010

Casta (gnetti)

giugno 29, 2010

Al direttore di “Europa”

Caro direttore,

bello, l’articolo di Castagnetti, di una decina di giorni fa, sul tema dei “privilegi” dei parlamentari italiani. Eppure, sento l’esigenza di “chiosarlo”, in qualche misura. Segnalando subito, pur detto con grande simpatia per l’amico Pierluigi, che ho registrato qualche elemento di ambiguità, nel suo “pezzo”. Come quando lascia intendere che, a riguardo delle “indennità”, quelle dei “nostri” risulterebbero, diversamente da quanto si pensa comunemente, “in linea”, o, addirittura, “al di sotto” della “media” dei parlamentari europei. Secondo uno studio “riservato” della Camera, peraltro. Che però tiene conto di altri “benefit” dei colleghi UE. E, dunque, introduce elementi di valutazione interpretabili in modi diversi. Ciò pone, in ogni caso, l’eterna domanda: ma qual è lo “stipendio” vero dei nostri deputati e senatori? Qualche perplessità mi lascia anche il suo accenno all’esperienza del suo collega che aveva rimproverato a un gruppo di iscritti del Pd, critici sull’argomento, di non avere posto a suo tempo quella “questione” a personaggi del calibro di Zaccagnini, Boldrini, Andreatta, i quali, afferma Castagnetti, non potevano essere sospettati, stante la loro qualità “professionale”, di godere di un “privilegio”. Mi verrebbe da dire in proposito, semplicemente, che sarebbe piuttosto interessante confrontare le indennità di allora con quelle di oggi, ma tant’è. Quello che mi lascia però alquanto perplesso è il suo interrogativo: “dobbiamo decurtare le indennità parlamentari per farle corrispondere al degrado e alla crescente irrilevanza della funzione (degli eletti) o dobbiamo, invece, combattere il degrado e l’irrilevanza della funzione?”. La mia personalissima risposta è semplice: bisogna ridurre le “prebende” dei nostri rappresentanti in Parlamento (ma non solo) e, insieme, rivitalizzarne il ruolo. E questa è una contraddizione soltanto apparente. Non so se le indennità italiane siano “scandalose”: segnalo soltanto, in argomento, la sorpresa di un mio caro amico neoeletto consigliere regionale, e ancora poco avvezzo al “clima”, al momento di ritirare la sua prima “paga” mensile: una cifra netta corrispondente, quasi, alla pensione annuale di una sua vecchia zia, che pure aveva lavorato parecchi anni, nella sua vita! Il “poveretto” ha osato, pur timidamente, fare accenno, ai suoi colleghi, ad un’ipotesi di “stipendi” più sobri, ma è stato subito tacitato. Se tali sono le indennità regionali, dunque, non è difficile congetturare su quelle “nazionali” (e sugli annessi e connessi, quali liquidazioni, e pensioni, e quant’altro). Che sono ovviamente perfettamente leggibili, da qualche parte, ma che sui “media” vengono sempre presentate, chissà perché, in modi differenti. Credo di non aver bisogno di dire che sto riportando sensazioni di chi, militando a sinistra, ha una concezione in qualche misura “etica” della funzione pubblica, che non appartiene, invece al sistema berlusconiano. Tutto ciò detto dei “soldi”, io sono del tutto consapevole, come Castagnetti, che il problema più importante, in realtà, è il rischio dell’”esaurimento della funzione della rappresentanza”, compressa, oltretutto, dal fatto che i parlamentari non sono più scelti dagli elettori, ma imposti dall’alto, e dunque, non hanno più un rapporto diretto con uno specifico territorio e i rispettivi elettori. Come anche del fatto che la funzione legislativa è stata ormai “confiscata” da parte dell’esecutivo. E condivido pure l’invito a schivare il pericolo di alimentare il qualunquismo imperante, dando “corda” eccessiva alle critiche sugli “eletti” (come anche sul “fannullismo” del pubblico impiego, come dice giustamente Pierluigi). Non ho dubbi, perciò, che sia sbagliato fare una battaglia contro gli “amministratori locali”, e contro il numero dei consiglieri e degli assessori comunali e le relative indennità, queste ultime, del resto, assolutamente incomparabili (dico io) con quelle dei livelli superiori. Qui, però, stiamo parlando di un altro livello, quello nazionale. Dal quale sarebbe giusto partire, per “razionalizzare” il sistema. E allora diventa spontaneo chiedersi, per esempio (immaginando che anche l’ex segretario dei “popolari” condivida, anche se non ne ha fatto cenno nel suo articolo),: bene ridare vigore al ruolo del Parlamento, ma ha senso “mantenere” tuttora (con quelle indennità) un migliaio di deputati e senatori, dopo avere costituito, quasi quaranta anni orsono, le assemblee delle Regioni, e avere attribuito a tali Enti, con la riforma costituzionale degli anni scorsi, moltissime competenze già dello Stato? Ha senso tenere in vita oggi, nella società del duemila, un “bicameralismo perfetto” e non creare invece una Camera delle “autonomie” che risolva in partenza i conflitti tra Stato centrale e istituzioni periferiche? In realtà, le domande sarebbero molte altre, sul tema della “rappresentanza politica”, ma anche dei “costi della politica”. Ma, nell’economia di una “lettera”, mi devo fermare qui. Con la consapevolezza, in ogni caso, che le mie considerazioni, di uno che ha passato una vita nelle “istituzioni locali”, difficilmente risulterebbero gradite a coloro che, stando a livelli istituzionali più alti, pensassero alla politica soprattutto come a una possibilità di “carriera” e di farsi uno “stipendio”. I quali mi accuserebbero, ça va sans dire, di demagogia, se non di qualunquismo. Ho però anche la convinzione che, se il Pd impugnasse seriamente questa “bandiera” (i temi che ho toccato con questa mia), avrebbe tutto da guadagnare. Naturalmente sono pessimista, se posso dirlo.

VINCENZO ORTOLINA

PGT CASTIONE/articolo su “Araberara” del 25.6.2010

giugno 26, 2010

Caro direttore,
villeggiante a Bratto, in un appartamento in affitto, da quasi quarant’anni, da sempre sono inevitabilmente portato ad interessarmi un po’ (quel che basta) alle vicende amministrative del Comune di Castione. Che finiscono, ovviamente, col riflettersi in qualche misura sulla stessa vita di coloro che passano semplicemente le vacanze, in quelle località. Tanto più gli “habitué”, è ovvio, e in particolare quelli (mi pare non siano pochi) che lì vi hanno la seconda abitazione, e che perciò si sentono un po’ “di casa”. In proposito, tralascio, qui (anche se l’argomento andrà ripreso, io credo), ogni ragionamento sull’opportunità che, nelle decisioni davvero importanti, si riesca a creare un pur minimo canale di contatto tra questa categoria di villeggianti (mezzi “castionesi”, in fondo), e l’amministrazione comunale, ferme restando, è naturale, le diverse responsabilità e competenze. Essendo stato eletto, ultimissimamente, alla presidenza dell’associazione “Amici della Presolana”, che ha tra le finalità quella di “salvaguardare e valorizzare il patrimonio naturale, paesaggistico e ambientale della Conca della Presolana, nonché di incentivare lo sviluppo di attività culturali e di tempo libero idonee a valorizzare la vita del territorio, dando voce a tal fine a tutti coloro che frequentano la “nostra” valle e intendono offrire il loro contributo”, il mio interessamento diventa, ora, quasi un “dovere d’ufficio”. Sto parlando, ribadisco, di vicende “amministrative”, non di quelle più squisitamente politiche, pur se locali. Ho letto in proposito su “Araberara” dell’11 giugno, mi pare, che sta arrivando al primo “step” l’iter di approvazione del Piano di governo del territorio, lo strumento urbanistico che, in un certo qual senso, ha sostituito il “piano regolatore”. Un documento, detto in via generale, di grandissima importanza sotto molteplici aspetti, com’è facile intuire dallo stesso titolo, e che produce effetti piuttosto rilevanti. E che immagino, perciò, sia stato vagliato, nella fase di elaborazione, con la massima attenzione. Devo rilevare però che, sul quindicinale citato, ne parlano due articoli i quali, messi a confronto, lasciano decisamente “frastornato” uno, come il sottoscritto, che la proposta di “piano” non l’ha ancora vista. Mi riferisco, è evidente, ai pezzi a firma, rispettivamente, dell’assessore del Comune, e di “Presolanik”. Per quanto ho detto sopra, tralascio ogni accenno che abbia una connotazione in qualche misura anche politica, pur se riguardante tale atto amministrativo. Mi limito, in proposito, a considerare che, se sembra ineccepibile l’affermazione dell’assessore Rossi a riguardo del “diritto-dovere” della maggioranza del Comune di Castione di assumere le decisioni che le competono, forse andrebbe valutata anche la “particolarità” dell’attuale situazione amministrativa, che suggerirebbe forse, ai governanti locali, una certa … prudenza. Esprimo poi, a titolo personale, un pizzico di sorpresa per il fatto che, se è corretta l’informazione di Presolanik, su un provvedimento di tale portata non si è tenuta alcuna assemblea pubblica. Né per i “castionesi”, né per i “semi-castionesi”. Torno, in ogni caso, al “frastornamento”: l’esponente della Giunta afferma che si tratta di un “piano dei cittadini, che ha avuto come criterio di fondo la risposta positiva alle istanze là dove è stato possibile e ragionevole secondo il principio di una distribuzione moderata ma allargata”. Un piano che realizza “una forma di giustizia sociale” e che prevede che “chi non ha ricevuto niente nei decenni passati potrà avere riconosciuto un proprio diritto”. Un piano, infine che “persegue obiettivi di sviluppo per il nostro Comune: dal turismo, ai servizi, alla valorizzazione dell’ambiente”. Fantastico, viene da dire! Tanto più per la ipotizzata “quadratura del cerchio” tra sviluppo e valorizzazione dell’ambiente. Poi, però, leggo l’altro articolo, e registro quanto segue: “… Il piano sta rivelando i numeri nascosti. E sono spaventosi. Altro che grandissima colata di cemento! Questa è un’alluvione di cemento, uno tsunami cementificatore. Viene tutto sommerso dal cemento. Il PGT prevede 300.000 metri cubi pari a oltre 2.000 nuovi appartamenti e un consumo del suolo di 230.000 mq”. “Tenendo conto che attualmente Castione ha circa 8000 unità abitative, significa aumentare la disponibilità del 30%”. Cito solo questo pezzo, tralasciando riferimenti più di dettaglio agli …asterischi, alle U, ai “circolini rosa”, e quanto altro. Conclusione: a chi dobbiamo dare retta? E’ davvero un PGT che realizza il principio di una “distribuzione moderata ma allargata (?)”, e che attua una qualche forma di “giustizia sociale”, come dice l’assessore, o che cosa? VINCENZO ORTOLINA

A proposito delle Province

giugno 13, 2010

V’è indubbiamente la necessità e l’urgenza di affrontare una razionalizzazione generale del sistema istituzionale del nostro paese, per evitare gli sprechi, e rendere più funzionale la pubblica amministrazione. E’ allora sbagliato, a me pare, pensare che il problema sia rappresentato primariamente dalle Province, che costerebbero inutilmente, e che bisognerebbe dunque avere il coraggio di abolire. Vorrei capire, in proposito, come finirà davvero la pantomima in argomento così come rappresentata nella “finanziaria”, fermo restando che ritengo assurdo che si utilizzi questo strumento per decidere in materia. Ne aboliranno soltanto quattro? Ha senso? Ma avranno poi il coraggio di farlo davvero? Certo, da milanese, io sono tra coloro che condividono, innanzi tutto, l’esigenza di realizzare, in quest’area, la Città metropolitana, destinata, tra l’altro, ad assorbire l’ente Provincia. Un’operazione, peraltro, complicata, a me sembra, dal fatto dell’improvvidamente avvenuta istituzione della Provincia di Monza. Tornando al tema delle Province in generale, mi chiedo tuttavia se sia ora il caso di riportare l’orologio indietro di anni, riaprendo una discussione che dovrebbe considerarsi conclusa, perlomeno per il medio periodo, con l’avvenuta approvazione, nel 2001, delle modifiche alla parte seconda della Costituzione, confermate dal referendum popolare. Modifiche che hanno rafforzato, in parte ridefinendolo, il ruolo degli enti locali, Province comprese. La nuova Costituzione ha disegnato un assetto adeguato e coerente: un quadro chiaro, organico, pulito, mi verrebbe da dire. Un disegno che prevede, come noto, che lo Stato abbia competenza su ben determinate materie che non possono che essere attribuite al livello centrale (moneta, politica estera, esercito, eccetera), mentre le Regioni l’abbiano su ogni altra materia non espressamente assegnata, appunto, allo Stato. Ma la competenza regionale è di natura squisitamente legislativa e pianificatoria, mentre le funzioni amministrative sono attribuite interamente ai Comuni, fatta salva la necessità di un loro eventuale esercizio unitario da parte di Province, Città metropolitane, Regioni o Stato. Un quadro chiaro, ribadisco, nel quale la Provincia è così tenuta a gestire soltanto le funzioni che riguardino i problemi che superano i confini dei singoli Comuni. E ad occuparsi, in raccordo con la Regione, e coordinandosi con i Comuni, di programmazione, economica, territoriale, sociale, e ambientale. Nonché di attività di promozione e di sostegno ai Comuni medesimi, in particolare quelli di piccola dimensione. Programmazione, non gestione, dunque. Nonché coordinamento, promozione, sostegno. Funzioni sussidiarie, perciò, in un certo senso. Salvare l’Italia abolendo le Province, pare, in ogni caso, il leit motiv del momento, finita (forse) l’era dell’attacco dello stesso tenore alle Prefetture, sferrato in particolare dalla Lega Nord. Oppure, dicono alcuni, mantenerle, ma soltanto quali unità tecnico-operative. In proposito, io ho qualche dubbio che decidere in particolare su viabilità, trasporti, inquinamento, formazione professionale, grandi insediamenti (i già citati problemi di area vasta), debba competere soltanto alla dimensione tecnica, e considero in particolare che le citate funzioni di programmazione, di coordinamento e di supporto ai Comuni siano di natura squisitamente politica. Razionalizzare l’intero sistema istituzionale è altra cosa che abolire semplicemente gli enti intermedi in questione, in ogni caso. Alla fine, si risparmierebbero soltanto gli “stipendi” dei relativi amministratori pubblici. Che non mi pare molto. Mentre andrebbero ridotti i privilegi di tutti politici, che sono peraltro assai diseguali da categoria a categoria (quelli dei “provinciali” non parrebbero scandalosi, in confronto ad altri), a partire da quelli dei parlamentari, il numero dei quali potrebbe essere ridotto in misura anche significativa. Del resto, come i costituzionalisti seri dicono da anni, che senso ha avere conferito alle Regioni un’enormità di competenze legislative, con la riforma del titolo V°, e continuare a mantenere un migliaio di parlamentari? Dopo di che, è umanamente comprensibile che il Parlamento abbia poca voglia di … suicidarsi. In ogni caso, forse, fermo restando che non ha senso crearne di nuove, più che sopprimere tout court le attuali Province (le quali, però, dovrebbero quantomeno giustificare la propria esistenza dimostrando di avere, insieme, sia una popolazione adeguata, sia un territorio “peculiare”. In proposito, Monza ha quest’ultimo?), o comunque prima di farlo, varrebbe la pena di sperimentare davvero la piena attuazione del dettato costituzionale sopra descritto. Imponendo così che ciascuna istituzione si mantenga nel proprio ambito di competenza e non invada campi altrui: lo Stato non sia accentratore, la Regione non riproduca, per parte sua, neocentralismi, e si limiti, appunto, alla legificazione, alla grande pianificazione e alla necessaria funzione di coordinamento infraregionale, trasferendo tutta l’attività amministrativa agli enti locali. Le stesse Province, infine, non esercitino funzioni dei Comuni, come pure, da qualche parte, accade. Tutti gli enti, poi, valorizzino pienamente le risorse interne, evitando possibilmente la moltiplicazione di agenzie, istituti, sub enti e quanto altro, riducendo la proliferazione delle consulenze, ed astenendosi dall’ attuare, le amministrazioni subentranti, uno spoil system selvaggio. Ridurre i costi della politica è indispensabile e possibile, dunque. Credo, però, serva anche la consapevolezza che, come detto, la democrazia resta un bene fondamentale. In proposito va allora segnalata anche l’imprescindibile esigenza di ridare dignità alle assemblee elettive degli enti locali, oggi in evidente crisi d’identità e di ruolo. E’ un altro tema su cui riflettere, anche se non appassiona, temo, le … masse.

VINCENZO ORTOLINA

donne e pensioni

giugno 8, 2010

La vita lavorativa di una donna italiana vicina, oggi, alla pensione, è stata mediamente più faticosa di quella dell’uomo più o meno coetaneo, il quale ultimo, non educato a ciò, raramente ha contribuito, negli anni, ad aiutare la propria moglie, o la compagna, nei gravosi compiti di “cura” che la famiglia comporta. Lo dico anche per esperienza personale. Fermo poi restando che le stesse donne raramente hanno avuto a disposizione, da noi, quei servizi o comunque quei supporti legislativi che invece esistono in altri paesi, utili a rendere maggiormente conciliabile e meno pesante il doppio impegno. Certo, le coppie giovani sono, fortunatamente, più attrezzate, oggi, a dividersi, in qualche misura, i compiti. E dunque, nel “medio periodo”, è giusto che la situazione cambi, sul fronte previdenziale. Invece, l’obbligo della parificazione quasi immediata dell’età pensionabile, imposta dall’UE sulla base di non so bene di quale direttiva vincolante, è assai discutibile. E forse contestabile con buonissime ragioni, anche giuridiche. Ma mi sembra evidente che questo governo, che pure non ama molto l’Europa, non ha alcuna intenzione di farla, tale contestazione, al fine di scaricare così la colpa dell’impopolare decisione (che riguarda peraltro e opinabilmente soltanto il “pubblico”), appunto, esclusivamente sulla U.E (nella quale la maggioranza è “di destra”, peraltro).

VINCENZO ORTOLINA

Il “NASKO” DI FORMIGONI

giugno 7, 2010

Di primo acchito, m’è venuto da pensare che soltanto una mente raffinata, naturalmente ciellina, poteva denominare “Nasko” il progetto formigoniano di aiuto alle donne che decidono di rinunciare all’aborto. La “k” evoca evidentemente (e semplicemente, credo) la “c”, ma taluno, ovviamente ostile al “governatore” e alla sua “filosofia”, arriva a considerarla, nientemeno, “inquietante”. Democratico e cattolico, personalmente ritengo, detto con franchezza, che la questione “aborto” venga talvolta un po’ sottovalutata, “a sinistra”. Incapace di cimentarmi nella discussione su quando l’embrione diventa davvero vita (roba da … teologi), mi limito a considerare che, comunque sia, anche soltanto un “programma” di vita credo meriti estrema attenzione. Perché ogni nuovo bambino che nasce (basta che ci guardiamo intorno) è portatore di un suo carisma straordinario. Utile per l’intera società, del resto. La quale, detto ulteriormente, sta oltretutto andando verso il “suicidio demografico”, con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. Ciò detto, trovo insopportabile, sia chiaro, l’attenzione strombazzata e strumentale alla “vita nascente” di certa nostra destra, assai meno preoccupata della “vita vivente” di tutti i giorni, in particolare di quella dei meno fortunati. Tornando a “Nasko”, le perplessità, sul progetto, sono molte. Opportuna, naturalmente, la scelta di considerare “sperimentale” l’iniziativa (si vedrà se e come il “meccanismo” funzionerà), anche se, nell’atto che lo approva, si fa riferimento, inevitabilmente, alla ‘194’ sull’aborto, di oltre trenta anni fa, e alla legge regionale sulla “famiglia” del 1999, il che provoca la domanda: ma perché Formigoni, che impera da quindici anni, non ci ha pensato prima (se non ricordo male)? A proposito della legge nazionale, è utile ricordare che la stessa s’intitola in verità, più correttamente, “Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione della gravidanza”. In proposito, ritengo che, in tutti questi anni, l’attenzione sugli aspetti preventivi, finalizzati a prevenire l’aborto, sia stata minima. E quindi, in termini di principio, concordo col tentativo del presidente della giunta regionale di provare a ricuperare, in ogni caso tardivamente, come detto, spazi di iniziativa in tal senso. Ma la soluzione, temo, non produrrà risultati significativi. Perché la questione non è, mi pare, o non è soltanto, una questione di “soldi”. Il “governatore” utilizza anche in questa situazione la sua nota “tecnica” dei “bonus”: erogazione diretta di contributi regionali, senza passare, con una procedura discutibile, tanto più per un soggetto che declama quotidianamente la sussidiarietà – non però quella cosiddetta “orizzontale” – attraverso i Comuni, o altri livelli decentrati. S’allungherà così, negli uffici della giunta regionale, il voluminoso elenco (ma non so se esista davvero) dei “beneficati”, cui rammentare a tempo debito il favore. E naturalmente la Regione ribadirà che un tema così “delicato” non può che essere gestito a livello centrale. Ribadisco, comunque, la mia personale convinzione che, nella fattispecie, i “soldi” serviranno a poco. Infatti, c’è da chiedersi: ma davvero è pensabile che una donna si faccia convincere a evitare l’aborto in presenza di un’offerta “una tantum”, anche se di fatto “rateizzata” (mi si perdoni l’ossimoro) in 18 mensilità da 250 euro l’una? Un figlio varrebbe dunque, detto provocatoriamente, 4500 euro? E per il resto della vita, dopo il primo anno e mezzo, che succede? Letto, poi, il dispositivo della delibera istitutiva di “Nasko”, nascono altre domande: come si fa a identificare le donne che hanno davvero intenzione di abortire per motivi economici? E come si fa a distinguere quelle che (realisticamente parlando) potrebbero, invece, non avere intenzione di abortire, ma sarebbero attratte dal “finanziamento”? Concludo riflettendo, da convinto assertore della “vita”, che una politica (doverosa) di promozione della nascite mi pare necessiti di ben altri interventi. Che riguardano anche (o forse soprattutto) il tema dei servizi sul territorio (che da più parti si afferma siano stati depotenziati dalla politica formigoniana), dell’occupazione femminile, della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, della disomogeneità salariale tra uomini e donne, e via dicendo. E anche la questione degli “assegni familiari”, e del “quoziente famiglia”. Argomenti, tutti, che riguardano il livello nazionale in primis. “Nasko”: “bonus” o … “malus” (faccio per dire), perciò? VINCENZO ORTOLINA

frecce (mia lettera sul Corriere di oggi 31 maggio)

giugno 1, 2010
Caro Romano, secondo una mia personale statistica, quasi la metà degli automobilisti (sto parlando dell’area milanese) non utilizza o utilizza male le frecce di direzione. In particolare alle “rotonde”: spesso non si capisce dove precisamente vuole andare, chi ti sta davanti. Ai miei tempi, le “scuole-guida” (quelle “brave”) insistevano molto sul corretto comportamento in proposito. Che succede, invece, ora, a Suo avviso? VINCENZO ORTOLINA

mia lettera su Europa del 31 maggio su legge intercettazioni

giugno 1, 2010

Caro direttore,

leggo che tra i parlamentari PD ci sarebbero posizioni diversificate sull’atteggiamento da tenere a riguardo della legge sulle “intercettazioni”: da una parte i “garantisti”, che comunque ritengono importante difendere la privacy delle persone, e dall’altra gli “oltranzisti”, o giustizialisti, che ipotizzerebbero di occupare l’aula del Senato in segno di protesta. In realtà, non credo che ai secondi non importi tutelare la privacy, e penso perciò che la spaccatura non sia davvero “eclatante”, diversamente da quanto riferisce qualche giornalista. Nel caso, il problema è capire se la norma è davvero predisposta al fine di trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di impedire la gogna mediatica e quella di non mettere il bavaglio alle indagini. La proposta sul tappeto, pur corretta rispetto a quella iniziale, sembra non fugare per nulla (vedi la balzana e credo incostituzionale idea di applicarla anche ai procedimenti in corso, ma non solo) l’impressione che la stessa miri primariamente a difendere, di questi tempi in particolare, la casta dalla magistratura, quand’anche esponenti della prima avessero commesso “porcherie” rilevanti anche penalmente. Se è così, è in gioco un valore talmente importante che forse merita qualche gesto clamoroso. Parlare di fair play istituzionale, nella situazione (e Berlusconi imperando), ha poco senso, a mio avviso. E temere di essere classificati quale partito dei giudici non credo ci dovrebbe preoccupare più di tanto, considerato il vasto mondo che considera questo progetto di legge, così com’è al momento, profondamente sbagliato.

VINCENZO ORTOLINA